PER LA RINASCITA DELLA CALABRIA

Discorso di ANTONINO ANILE – elezioni 1919

Pubblicato in un foglio ormai introvabile e perciò abbiamo pensato riproporlo per la sua attualità.

Per la prima volta la Calabria viene chiamata a di svincolarsi dalle oscure tirannie ed a domandarsi quale sia il programma dei partiti che si avanzano a rappresentarla ed a tutelarne gli interessi. E’ un avvenimento contesto non ancora inteso nel suo profondo significato se qui attorno a voi,in questa città,che ha tante tradizioni di cultura,ferve più torbido che mai un contendersi di volgari e piccole ambizioni e le medesime persone, che avrebbero dovuto rientrare nell’ombra,si agitano a rinsaldare quelle antiche clientele,quei mezzi elettorali che impedirono a Francesco Fiorentino di essere un nostro rappresentante e permisero ad ogni istrione di parlare in nome della Calabria.

Dove sono i programmi ? quale urto di nobili propositi è giunto sinora alla vostra coscienza? In quale delle liste prevale qualche cosa che sia al di sopra di comuni interessi particolaristici? chi vi parla in nome dei bisogni reali della nostra gente ?

A voler essere sinceri – e lo dobbiamo nel momento presente - due soli sono i partiti che scendono in lizza con un programma coraggioso determinato: il P. socialista ed il nuovo P. popolare.

Non separa dal P. socialista la concezione diversa che abbiamo dell’uomo che guadagna in umanità non soltanto per conquiste materiali,ma più ancora per conquiste ideali; ma se queste ed altre differenze possono e debbono distinguerci,c’è comune lo sdegno per le condizioni di vita che sono state fatte alle nostre popolazioni da una stolta e disumana politica cosiddetta democratica,e c’è ancora comune l’ansia di nuovi ordinamenti che per- mettano alla nostra Calabria , di rompere le catene del presente asservimento statale e di rinascere alla vita pubblica. Giacchè, o signori, prima ancora di parlare di programmi è necessario che ci ripieghiamo,per un momento, su queste nostre condizioni di vita,come fa sovente l’inferno sopra il suo male, ed acquistiamo netta la percezione di quel che ci occorre per entrare validi e sani nel ritmo della civiltà contemporanea, dal quale finora siamo sati esclusi.

La nostra Calabria ,dall’unità in poi ,in circa un cinquantennio di vita nazionale, non solo è stata abbandonata a se stessa, ma costretta a subire una serie interrotta di violenze in ogni suo elementare diritto. Rappresentanti della nostra terra non sono mai mancati al governo dello Stato,ma per uno strano fenomeno psicologico, che sta in rapporto con la coscienza d’una scarsa autorità personale,si sono mostrati solleciti più del bene delle altre provincie d’Italia che della propria. Ed intanto le zone malariche,quaggiù, guadagnavano in estensione perturbando la linea somatica della stirpe,e la mancanza di ogni vigilanza igienica diffondeva in ogni paese morbi sino allora sconosciuti,ed i nostri bambini con tare ereditarie e privi di ogni soccorso morivano a centinaia nei borghi impervi e nelle campagne desolate. La Calabria è priva ancora di ogni forma di quelle istituzioni civili nelle quali ormai ogni Stato misura la sua capacità.

Il nostro popolo ignora  del tutto le difese doverose che,altrove, ski concedono a chi soffre e a chi si piega nel duro lavoro dei campi e delle officine. Non vi ha colonia la più lontana, che non abbia avuto cure maggiori della Patria.

La responsabilità della politica statale verso di noi è delle più gravi. Questa parte d’Italia,donde nacque il nome d’Italia che emanò una delle più fulgide luci di pensiero filosofico che abbia la nostra istoria,non è mai entrata direttamente in un programma organico di elevazione civile. Di tratto in tratto una violenta scossa tellurica,un disastro improvviso piombatosi addosso rivelava appieno la vastità delle nostre miserie e del nostro dolore: ci riempiva allora le orecchie di promesse,ci si ammannivano dei progetti di riparazione, ma , poco dopo, il silenzio più crudele si distendeva sopra di noi.

Bisogna conoscerla questa storia di promesse mancate, questa continua turlupinatura verso di noi, che si è compiuta con la piena acquiescenza dei rappresentanti che finora aveva avuto. Io ve ne dirò qualcosa.

Voi sapete di quanti mezzi di comunicazione manchiamo e come sia folto il numero dei nostri paesi in pieno marasma economico per lo stato di isolamento,anzi di sequestro, in cui vivono. Senza strade non è possibile alcuna forma di attività a vantaggio della Calabria. Ebbene, dinanzi a noi a questo bisogno impellente il Governo, dal 1868 sino ad oggi, non ci ha elargito che un succedersi di leggi,con le quale non si faceva altro che imporre ai Comuni la costruzione delle strade senza un programma che mostrasse almeno di conoscere la geografia speciale delle nostre provincie. Ne seguirono costruzioni saltuarie dispendiosissime,che portarono alla rovina le finanze già stremate dei nostri comuni. Lo Stato riconosce finalmente l’errore commesso e con una legge del 1906 si assume l’obbligo della costruzione diretta. Peggio ancora, giacché questo obbligo è entrato subito a far parte di quella numerosa categoria di obblighi non mantenuti, che caratterizzano l’attività centrale dei riguardi della Calabria. Tale inganno verso di noi si compie in maniera sì turpe che per qualche strada – ciò,per esempio, quella da tanto tempo progettata, che dovrebbe unire Nicastro a Serrastretta – si fanno venire ,durante il periodo elettorale,ingegneri ed appaltatori che iniziano il lavoro per poi sospenderlo appena il governo si è assicurato della riuscita del deputato che gli sarà favorevole.

Circa la rete ferroviaria che ci attraversa è assai facile constatare le condizioni in cui siamo: due linee litoranee periferiche, delle quali i paesi interni non possono usufruire e percorse da tutti quei treni sgangherati e malsicuri che le linee del Nord rifiutano . Anche su questo riguardo abbiamo obblighi da parte dello Stato di costruire nel più breve tempo possibile una serie di linee complementari; ma si tratta, come al solito di obblighi verbali che si distanziano sempre più dalla realtà attuale. Che se per poco riflettiamo che al completamento di una rete ferroviaria occorrono scali marittimi,porti, approdi e che di ciò tutto a noi manca, possiamo misurare il disdegno,per non dire altro,che hanno suscitato nei poteri dirigenti i nostri più urgenti bisogni.

Quali aggettivi dovrei ora trovare per definire gli errori commessi a nostro danno ogni qual volta si è voluto affrontare il problema agrario dell’Italia meridionale,ch’è pure essenziale per la vita della Nazione? Il problema non è stato mai visto nella sua interezza: ora si è parlato di bonifiche, ora di rimboschimento,ora di case coloniche, ora di divisioni di terre, ora di prestiti agrari. Le soluzioni parziali si sono incrociate e contraddette senza risolvere nulla,anzi volgendo al peggio il doloroso stato di cose che perdura e che ognuno di noi conosce: Quel che non sappiamo è la tenace resistenza che trovano le proposte che vengono da persone competenti; Da quei pochi che conoscono per davvero i bisogni delle nostre terre e che amano la Calabria.

Io debbo a proposito raccontarvi qualche cosa che non potrà non suscitare il vostro stupore.  Il governo borbonico ,che si era pure proposto di attuare un vasto ed edificante programma di bonifiche delle nostre contrade malsane,aveva,in considerazione del maggiore rendimento che sarebbe venuto ai proprietari delle terre bonificate,imposto una speciale tassa di bonifica, il cui prodotto avrebbe dovuto impiegarsi esclusivamente a far proseguire e completare le opere iniziate. Il nuovo governo d’Italia mantenne per un certo tempo,come è facile intendere, l’imposta; e ne risultò in tal modo un fondo di parecchi milioni fatto di denaro nostro e che avrebbe dovuto essere speso per noi. Ebbene, questi nostri milioni un bel giorno vennero con rapido decreto distornati e concessi interamente – con una delle più flagranti violazioni di legge - per la bonifica delle terre che sono attorno a Ferrara.

Non vi fu alcuno dei deputati calabresi che si sia mosso ad impedire tale violazione. Voi intendete che cosa voglia dire per la Calabria l’opera delle bonifiche! Molte e molte centinaia di kilometri della pianura che si estende da Squillace al confine della Basilicata e dall’altra che si estende da Nicastro a Pizzo, potrebbero, se risanati, bastare da soli a vettovagliare l’Italia meridionale. Vinta l’improduttività di queste plaghe sparirebbe anche l’infezione malarica che miete tra noi tante vittime. E’ una illusione,una triste illusione credere che la malaria si combatta con i sali di chinina e con le reticelle metalliche. La malaria si vince soltanto con il lavoro dei campi! Un lavoro tenace, che si esplichi da un programma largo ed organico che in sé comprenda la realizzazione dei nostri corsi d’acqua,il ricostituirsi della nostra ricchezza arborea, la possibilità di usufruire da parte dei nostri contadini gli agili istituti di credito ed un moltiplicarsi di feconde scuole agrarie:

Questo programma non passerà mai in realtà con gli organi burocratici dei quali lo Stato è costretto a servirsi.

Ci sorride ora la speranza che il progetto dei laghi silani con il colossale impianto idro-elettrico che ne seguirà, ed i cui lavori sono già iniziati,giunga al termine. Anche per questo occorre la massima nostra vigilanza se vogliamo che l’esecuzione non si protragga per serie lunghissime di anni , come già, per qualche segno,sembra debba accadere. Io vi dirò soltanto che i lavori del bacini  del Tirso in Sardegna, che avrebbero dovuto procedere di conserva con quelli dei nostri laghi silani , sono già condotti a termine per merito dei deputati sardi che seppero strappare al Parlamento i fondi necessari.

Sopra tutte le colpe dello Stato verso di noi ,la più grave per me , è quella che si raccoglie nell’errore scolastico,per il quale la più alta percentuale degli analfabeti ci appartiene. Ma non è questa percentuale ,che perdura in pieno contrasto con la legge sull’istruzione obbligatoria, che più mi preoccupa. E’ quel che ha fatto lo Stato nei suoi tentativi di applicazione della legge che mantiene in me un senso profondo di sgomento,del quale non riesco a liberarmi. Penso,in certi momenti, se la definizione data dal Gladstone del governo borbonico – la negazione di Dio – non debba e con più ragione affibbiarsi al governo venuto dopo.

Mancarono i n nostri padri di libertà,ed a scopo di conquistarla, almeno per i loro figlioli, soffrirono ogni sorta di persecuzione e seppero anche coraggiosamente morire- la Calabria ha una delle pagini più gloriose nella storia della nostra redenzione politica- ma noi , che saremmo i figli di quei padri,sappiamo ora quale libertà c’è stata concessa e come, qualche volta, ci manchi perfino il respiro sotto questo dispotismo burocratico che impedisce qualsiasi forma di attività libera e che è peggiore di ogni tirannia.

Noi dobbiamo ROMPERE questa tirannia interna come i nostri padri ruppero la tirannia straniera.

L’azione scolastica del governo italiano verso la Calabria si traduce in un numero assai esiguo di scuole raccolte in locali che non corrispondono ad alcuna delle condizioni igieniche che la civiltà contemporanea esige. Anche su questo riguardo abbiamo una serie di leggi - quella del 1878,quella del 1888 e le altre più recenti 1906 e del 1911 – che impongono la costruzione di adeguati edifizi scolastici – ma sono leggi , che come tutte le altre che ci riguardano ,non trovano la via per realizzarsi. Ma è poi possibile elevare un edifizio scolastico in armonia con le esigenze odierne in paesi che non conoscono alcuna forma di organizzazione igienica , che non hanno cioè ,un pieno circolo di acqua potabile, che sono prive di fognature e dove si ignorano le difese elementari ai pericolo delle epidemie infettive? La scuola che non sia al fastigio di tutto un fervido tumulto di opere civili non è scuola.

Che se anche tutti questi beni ci venissero largiti e viva al di sopra di essi una scuola quale dovrebbe essere ,in che modo lo Stato potrebbe esaurire il suo compito di educazione?Non certo come si è illuso di poter fare fin’ora ,accentrando tutto a sé e trasformando gli organi scolastici di ispezione in agenzie elettorali e corrompendo ogni cosa che tocchi. E’ da un ventennio che io protesto pubblicamente contro questa anarchia morale che investe tutte le nostre scuole ,dalle primarie alle superiori. E mi sostiene nella lotta il ricordo dei miei anni vissuti in Calabria dove i nostri fanciulli,che sono certo fra i più intelligenti fra i fanciulli d’Italia ,non trovano mezzo di sviluppare le preziose intime energie, e, quando riesce loro di entrare in una di queste scuole statali ,ne escono quasi sempre immiseriti fisicamente e spiritualmente.

Come ha risposto la Calabria a questa cieca politica di abbandono da parte dei poteri dirigenti ?

L’opprimente sistema fiscale ,donde esula qualsiasi senso di umanità verso la nostra gente umile,è stato da noi soddisfatto senza alcuna protesta,e lo è ancora. Noi paghiamo tributi come se fossimo una delle provincie più ricche d’Italia; e ci siamo rassegnati e ci rassegniamo a constatare che il nostro denaro non serve per noi.

I nostri contadini,la forza migliore della nostra stirpe, messi nell’impossibilità di poter vivere,si sono raccolti per tanti anni in corrente di emigrazione che dai porti di Napoli e di Genova sfociano nelle lontane Americhe. Non so ora trattenermi di rievocare un ricordo ch’è indelebile nell’animo mio. Mi incontrai un giorno nelle vicinanze di Napoli in un gruppo di emigranti calabresi. Alcuni piangevano ed altri fremevano di rabbia: erano stati derubati e malmenati nelle locande,in quelle piccole corti di miracoli che Napoli,per un certo tempo,possedette con il beneplacito delle autorità nei suoi luridi quartieri della marina.Volli accompagnarli sino all’imbarco,e constatai con dolore, che non dimenticherò più, che niun gregge è stato mai condotto al macello come quella nostra gente veniva sospinta,cacciate nelle stive oscure del piroscafo. A questo trattamento che,come crudeltà umana,non ha esempi,voi sapete come hanno risposto i nostri contadini: inviando in Italia tutti i loro risparmi ed in proporzioni tali da permettere che la Patria,che li aveva diseredati,compisse il passaggio della rendita e risolvesse il suo problema finanziario.

Venuta la guerra, ed interrotte le correnti migratorie, sono questi stessi contadini che formano i primi reggimenti lanciati,l’uno dopo l’altro,contro i reticolati nemici: Di quanto sangue calabrese sono sature le montagne del nostro confine guerresco! Furono i reggimenti della brigata Catanzaro a sacrificarsi per trattenere l’invasione del Trentino. Il compenso che ne ebbero vi è noto: fu loro negato qualsiasi avvicendamento di riposo e quando osarono,per questa disumana ingiustizia, una protesta, ci si rispose con la  decimazione .

Ancora se vi volgete attorno, v’incontrate di frequenti mutilati privi di ogni soccorso,in famiglie in lutto,alle quali tarda a giungere kla pensione, in soldati che attendono il premio di smobilitazione. Tutto è possibile che si compia contro la Calabria,questa parte d’Italia è troppo lontana dalla Bastiglia burocratica che impera a Roma.

Il vero si è che la nostra deputazione non ha saputo sinora unirsi a difesa dei nostri interessi,pronta soltanto a formare il nucleo di tutte quelle vili maggioranze che sostengono qualsiasi ministero.

Come uscire da questo stato di cose ? come è possibile che la Calabria risorga ?

Non certo persistendo nei metodi del passato. La Calabria deve trovare in se stessa la forza di rompere le catene che l’asservano. E’ giunto il momento che ciascuno di noi si dimandi donde possa venirci la salvezza.

I vecchi deputati,i responsabili di questo stato di cose,dovrebbero rientrare nell’ombra, o almeno presentarvi un programma che indichi essersi in loro svegliata la sensibilità dei nuovi doveri.

Il solo programma che viene chiaro innanzi a voi è quello del P. popolare. Pochi lo conoscono per davvero: e pertanto ha linee sì definite che si presenta alla comprensione di chiunque. Dodici soli articoli lo compongono ed il primo impone l’integrità della famiglia ed un’opera alacre di difesa contro tutte le forme di dissoluzione e di corrompimento che la insidiano. Non devo dire a voi calabresi si cosa rappresenti qui la famiglia e quanto di forza morale ciascuno di noi ne ha tratto per resistere nella lotta della vita. E’ senza dubbio la sola forza che ci sia rimasta ; e non solo dal lato morale,ma anche dal lato economico se il partito proclama la costituzione del bene inalienabile della famiglia. Immediatamente dopo viene affermata la libertà d’insegnamento in ogni grado. Non v’è altra soluzione per il problema della scuola in Italia; e già in questo ordine di idee sono entrati quanti emergano negli studi tra noi. L’opera della legislazione sociale che deve essere di tale audacia che lo si è definito rivoluzionario. Noi riconosciamo la libertà delle classi nell’unità sindacale e vogliamo che gli operai partecipino agli utili della produzione ed il lavoro del contadino sia garantito nel suo diritto intanto che una vasta rete di assicurazioni per le malattie,per la vecchiaia e per le invalidità si rinsaldi da un capo all’altro della penisola.

Ma quel che più conta per la nostra Calabria è il riconoscimento delle funzioni proprie del Comune, delle provincie e delle Regioni in rapporto alle necessità di sviluppo della vita locale.Voi comprendete che cosa voglia dire che le nostre energie non andranno più disperse; e noi potremo da noi stessi valorizzare quel che è nostro,quel che più intimamente ci appartiene: il nostro ingegno,le nostre tradizioni,la nostra fede,il nostro denaro; vuol dire la vera rinascenza della nostra terra,la solida vita che le permetterà di mettersi al livello delle altre zone di Italia. A questo programma di redenzione civile,che ha suscitato un’onda di plauso in tutta Italia e che mette le nostre provincie meridionali sulla via più sicura del loro rinnovamento,nulla si è potuto opporre tranne che qualche vieto pregiudizio. Si sussurra qua e là che si tratti di vecchio clericalismo, e si ripete da qualcuno il grido di Gambetta “ Voilàl’ennemis! “ No , o signori, dalla caduta dell’impero napoleonico ad oggi molte cose sono mutate,ed il nemico,se udite il rombo sotterraneo che minaccia di travolgere la civiltà europea,non è più da questa parte.

Il nuovo partito - è bene che si sappia – è del tutto aconfessionale e concede ai suoi aderenti ogni libertà di pensiero: Se il partito ha l’appoggio del clero,è perché questo ha inteso la necessità di colmare la distanza che s’era intermessa tra la religione e la vita civile,entrando in questa con nuove responsabilità e con propositi che coincidono con le più alte aspirazioni del popolo. Se ci siamo piegati a tutte le esperienze di democrazia,perché dovremmo ribellarci alla esperienza di una democrazia veramente cristiana,che ha tutti gli ideali in sé per la ragione semplicissima che la prima parola di eguaglianza e di fraternità le appartiene: e fu parola sincera e fu pagata con la crocefissione?

Entrano nella storia di cotesta democrazia le prime istituzioni civili che seguirono alla rovina dell’impero romano: quelle vive libertà comunali che permisero,per la prima volta,all’operaio, all’umile artiere di esplicare ,senza impedimento,la sua personalità. Persino i componenti dei Soviet di oggi sono costretti a riconoscere come loro antenati i liberi artigiani del Comune medioevale, che,nelle loro corporazioni ,diedero il primo esempio di leghe sindacalistiche. Quelle fiere libertà comunali che vinsero il feudalesimo,furono animate da spirito religioso,giacché la religione,profondamente intesa, non contrasta alle rivendicazioni sociali, anzi le sollecita. Qualsiasi nostra espressione di vita,per non spegnersi e corrompersi, ha bisogno di un impero religioso. Debbo io ricordare qual è l’opera compiuta in questo senso da Giorgio Sorel, il più grande teorico del socialismo dopo Carlo Marx? Non è forse del Sorel l’ammonimento che bisogna ridurre,perché la via non degeneri, l’indipendenza tra religione e lavoro ?Ora se il letto del gran fiume religioso dell’umanità – la frase è del Renan – resta il cristianesimo, non saremo noi, - la cui storia civile si conclude tra il pensiero del Dante e quello del Manzoni – a disconoscere cosa importi lo spirito di questa tradizione. L’affievolersi di questo spirito, l’avere insistito per l’uomo in conquiste di ordine materiale,l’essersi rinchiusi,durante questo ultimo periodo storico,in termini esclusivi di quantità,ci ha condotti all’immane eccidio di questa guerra. Per anni non pochi non abbiamo udito parlare di altro che di commerci,di macchine,di fabbriche,di ricchezze,di banche,di potenza militare: e fu in nome di questa potenza che l’Europa divenne un campo sanguinoso di battaglie e la nostra migliore gioventù venne immolata. L’urlo delle macchine,il fischio delle sirene coprivano ogni voce che ricordasse un valore ideale. Anche oggi a guerra finita,si tentano di ricalcare le medesime vie. La pace di Versailles reca purtroppo nel suo grembo nuove guerre. Nè veggo come faremo a ripetere ancora a questo nostro popolo reduce dalle trincee che la guerra sia stata combattuta e vinta per il diritto e la libertà se ,appena usciti dalla medesima,ci si para dinanzi,nella sua forma più brutale,l’egemonia economica. Ci piegheremo certo finché la ripresa assidua del nostro lavoro non ci concederà di ricostituire le nostre fortune, ma intanto deve esserci di conforto possedere una forza incommensurabile da opporre e contro la quale non vi ha egemonia materiale che possa aver ragione: voglio dire la forma morale dell’Europa, il suo storico contenuto religioso,che ha il suo centro di irradiazione in Italia.E’ questo un primato ideale che niuno potrà toglierci. Signori,il problema della redenzione della Calabria,che implica in sé la redenzione della nuova Italia è sovra tutto di indole morale. Qualsiasi programma,il meglio determinato in linee di lavoro,in formule tecniche,non passa in attualità se lo spirito degli uomini chiamato ad attuarlo non abbia una visione superiore: Se per salvarci dal fallimento e dalla rovina che ci minaccia,pur dopo la vittoria delle armi,è necessario produrre di più e portare al massimo rendimento il lavoro dei campi e delle officine,io non so come ciò sia possibile se il lavoratore non si riempie di un tal senso di umanità che non gli faccia disgiungere il proprio interesse da quello della collettività. A rompere questa muraglia di egoismi umani,che ci stringe da ogni lato e minaccia di soffocarci,noi dobbiamo riacquistare i nostri beni morali perduti,quella ricchezza intima che è fonte di ogni altra ricchezza e che la Calabria possedette nei periodi più fulgidi della sua storia.

Noi di WWW CALABRIALAICITAECHIESA.IT affidiamo ai nostri giovani, alle donne, al mondo della cultura libera e non succube, alla imprenditoria “pulita”, libera e coraggiosa, le sorti di questa nostra terra di Calabria: Senza queste forze continueranno a prevalere le lobby del potere politico e criminoso : la Calabria non avrà più futuro.

SCRIVI PER EMAIL I TUOI COMMENTI. APRIAMO UN CONFRONTO.